Su Wikipedia leggo che “La zona morta” è il quinto romanzo pubblicato da Stephen King ed il primo arrivato in vetta alla classifica dei best-seller. E’ il 1979.
Da allora ad oggi Stephen King è diventato il più grande romanziere di tutti i tempi, prolifico e geniale come nessun altro. Dalla sua fervida fantasia sono usciti romanzi memorabili, che sono entrati nelle case di milioni di persone in tutto il mondo anche grazie alle numerose trasposizioni cinematografiche, quasi tutte ottime. Anche se, nemmeno a dirlo, il libro è sempre meglio.
Siccome nel 1979 la mia vita da lettrice non era ancora cominciata (avevo quattro anni), non posso far altro oggi che andare a ritroso cercando di ripescare i primi lavori di questo scrittore amatissimo, perché non c’è niente come un suo romanzo in grado di compiere, su di me, autentici prodigi. Immedesimazione, senso di appartenenza alla storia, empatia con i personaggi ma soprattutto una grande, totale, invincibile nostalgia. Per me la “nostalgia kingiana” è l’ottava meraviglia del mondo, uno di quei sentimenti che quando ti prende è finita: lo stomaco ti si aggroviglia, gli occhi si inumidiscono, le labbra si increspano in leggeri sorrisi. Nostalgia canaglia.
Johnny Smith è insegnante di letteratura in un liceo di Castle Rock, nel New England, anticonformista e divertente, molto amato dai suoi alunni. Siamo nel 1970 e Johnny, poco più che ventenne, da qualche tempo frequenta Sarah, una sua collega: dopo alcune peripezie amorose piuttosto insoddisfacenti Sarah incontra ad una festa Johnny e rimane incantata dalla sua dolcezza e dalla sua simpatia. Giovani e innamorati, non sanno che il destino sta per abbattersi sulle loro vite come una mannaia, affilata e maledetta. Dopo aver riaccompagnato Sarah al termine di una serata di festa trascorsa alla fiera del paese (è la notte di Holloween), Johnny resta vittima di un incidente stradale a bordo del taxi che lo stava riportando a casa. A causa del terribile schianto rimarrà in coma per più di quattro anni.
Quando si risveglia, con sgomento apprende che il suo mondo è completamente ed irrimediabilmente cambiato: Sarah si è sposata con un altro uomo ed ha un bambino di pochi mesi, sua madre – che già presentava segni di squilibrio prima dell’incidente – ha aderito ad una setta religiosa che predica l’imminente fine del mondo ed è totalmente preda di un fanatismo che la sta portando alla pazzia; inoltre, si scopre invalido. Le sue gambe si sono atrofizzate, muscoli e tendini sono rattrappiti e non riescono più a sostenerlo. Per tornare alla normalità dovrà affrontare una lunga riabilitazione e un’operazione avanguardistica, ma non è questo l’aspetto peggiore del suo risveglio. John in seguito all’ incidente, o addirittura durante lo stato vegetativo, ha acquisito un dono al tempo stesso straordinario e terribile: col solo contatto delle mani è in grado di visualizzare nella sua mente la storia delle persone con il loro passato, il loro presente ed il loro futuro. Durante la permanenza in ospedale per la riabilitazione comincia a diffondersi la voce che Johnny è una specie di veggente, al punto che una volta tornato a casa non troverà più in pace. La cassetta della posta è inondata di lettere, di messaggi e di oggetti provenienti da chicchessia, tutte persone che cercano disperatamente di avere notizie di cari scomparsi, mariti fedifraghi, figli dispersi. E’ l’inizio di un incubo, perché l’ignoranza di massa di cui è vittima comincerà a vedere in lui un essere sovrannaturale, un cialtrone che vuole solo arricchirsi, un veggente da mettere sotto contratto. Ognuno ha un’etichetta da affibbiargli, pronto ad osannarlo o a saltargli addosso. Johnny è un ragazzo schivo di natura e mal sopporta tutta questa pressione da parte dei media che lo additano senza pietà e si sente soffocare dalle continue richieste di aiuto nella ricerca di persone scomparse. Decide così di isolarsi dalla comunità e cerca di riappropriarsi della sua vita, ricominciando per prima cosa dall’ insegnamento: nulla però andrà come previsto. King è molto abile nel farci entrare in punta di piedi nel mondo interiore di Johnny, un mondo che un giorno come tanti subisce una trasformazione dolorosa ed inaspettata, definitiva e terribile. Il suo tormento muove sentimenti di tenerezza e di comprensione e induce inevitabilmente il lettore a porsi una domanda, la stessa che l’uomo si pone da sempre: conoscere il futuro sarebbe un dono o una maledizione? Che impatto avrebbe sulle nostre vite, sarebbe uno strumento che aiuterebbe l’umanità o la distruggerebbe definitivamente? Certo la questione è complessa e la risposta non può esaurirsi in poche righe all’ interno di un romanzo di intrattenimento, ma sicuramente è un pensiero che non lascia indifferenti e su cui vale la pena soffermarsi a riflettere. La natura umana difficilmente accetta i propri limiti, mentre è pervasa di speranza e di sogni: conoscere in anticipo la nostra sorte ci priverebbe della nostra stessa essenza lasciandoci fermi al palo, schiacciati dalla paura e certi dei nostri fallimenti.

Come sempre nelle storie che Stephen King racconta l’elemento sovrannaturale è perfettamente stemperato dalla quotidianità dei suoi personaggi, così che mentre proseguiamo con la lettura non facciamo più caso alla differenza tra realtà e finzione romanzesca. L’aspetto psicologico è sempre molto ben sviluppato, e si presta per accogliere al meglio quello che di straordinario accade, mentre la vita scorre con il suo flusso regolare.
Credo che Johnny sia il protagonista kingiano più nostalgico che abbia mai incontrato: si porta addosso come una pesante cappa il rimpianto per gli anni che il coma gli ha rubato, per il suo giovane amore appena nato e subito perduto, per quel figlio che doveva essere suo, per sua madre vittima di un fanatismo religioso che forse avrebbe avuto bisogno di più comprensione, per una riabilitazione fisica e psichica dolorosa di cui porta ancora i segni, per l’emarginazione sociale che subisce a causa della sua diversità.
Ma soprattutto, lui non vorrebbe essere costretto a vedere. Non vorrebbe essere in grado di conoscere le terribili verità che si annidano dietro una semplice stretta di mano, perché il prezzo da pagare è troppo alto. La vita è un lancio di monetina, ma se sapessimo già il risultato come potremmo goderci l’istante perfetto in cui essa volteggia in aria, prima di ricadere al suolo? L’attesa e la speranza, non sono forse queste le cose che più di tutto ci fanno restare aggrappati alla vita?
“…Ma volevo che tu sapessi che ti penso, Sarah. Davvero, per me non c’è mai stata qualcun’altra e quella notte fu la nostra notte più bella, anche se a volte mi è difficile credere che vi sia mai stato un anno 1970… Senza calcolatori, senza videocassette… E altre volte mi sembra che quel tempo sia tuttora vicinissimo, da poterlo quasi toccare. Mi sembra che se potessi tenerti tra le braccia, o toccare la tua guancia, o la tua nuca, potrei portarti via con me in un futuro diverso senza dolore o tenebre o scelte amare. Bene, tutti noi facciamo quello che possiamo e dobbiamo accontentarci… e se non ci basta dobbiamo rassegnarci. Spero soltanto che tu mi penserai nel modo migliore che ti riesce, Sarah cara. Con tutto il cuore e tutto il mio amore.”
Johnny
ll dramma umano di Johnny è la vera forza di questo romanzo, e pazienza se siamo di fronte ad un autore ancora acerbo, che ha lasciato diverse lacune nella storia e che si è perso in almeno un centinaio di pagine.
Io, a Stephen King, perdono tutto.

La nostalgia. Proprio lei.
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Canaglia…
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In questo libro è lei, più che Johonny, la protagonista assoluta…
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Credo di aver letto un solo libro di King… ma grazie a questa bellissima recensione lo comprerò per leggerlo in vacanza! Grazie del suggerimento.
Ciao
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Ciao, sono proprio contenta!!! Vedrai che ti piacerà 🙂
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