Storia di una vendetta: “Il conte di Montecristo”, di Alexander Dumas

“…E non dimenticare mai che, fino al giorno in cui Iddio si degnerà di svelare all’uomo l’avvenire, tutta l’umana saggezza sarà riposta in queste due parole: aspettare e sperare”.

Così si è conclusa, circa un paio di mesi  fa, la mia avventura con il Conte di Montecristo. Tutti noi, chi più chi meno, conosciamo la storia della più grande vendetta mai concepita dalla mente umana. Film, vecchi sceneggiati a puntate…sulla storia inventata da Alexander Dumas è già stato prodotto di tutto. Il romanzo però, nemmeno a dirlo, è tutt’ altra cosa. Perché si sa: niente può contro la potenza evocativa delle parole. Si possono scegliere come attori figuranti perfetti, ma non ci sarà mai nessuno all’ altezza delle descrizioni di Dumas quando parla dello sguardo del Conte. Uno sguardo che più volte viene ricordato ai lettori, unica traccia di un passato di disperazione e di solitudine inimmaginabile. Dumas ha ucciso Edmond Dantes e l’ha fatto rivivere nella straordinaria figura del Conte di Montecristo, ma non smette mai di ricordarci come dietro l’incredibile ricchezza, la cultura, l’eleganza e l’irreale compostezza di quest’uomo uscito dal nulla ci sia sempre l’ombra di quel semplice marinaio la cui vita fu distrutta proprio all’ apice della felicità, a causa dei peggiori tra i sentimenti umani: invidia, brama di potere, codardia.
Quando mi chiedono qual è il mio romanzo preferito (in realtà non me lo chiede quasi nessuno, perché ai più non interessa) ho sempre risposto “Delitto e Castigo” di Dostoevskij. Poi è stata la volta del mio incontro con Dickens, e il David Copperfield ha preso il suo posto. Da ora in poi, non c’è più gara: ha vinto il Conte di Montecristo, chiusa la questione.
Questo tomo di 1.200 pagine, che con la sua impressionante mole mi aveva sempre tenuto a distanza (stupida me) è un viaggio straordinario tra le coste di Marsiglia, Parigi, Roma, che vale assolutamente la pena compiere.

E’ uno di quei libri che non si possono leggere con superficialità, quando qualcos’altro ci distrae con immagini e rumori di sottofondo, perché ha bisogno di silenzio e di devozione totale: capiterà anche a voi, come è capitato a me, di volersi ritagliare sempre più spesso momenti di totale isolamento per potersene gustare fino in fondo la lettura. Dumas non lascia scampo. Ogni frase, ogni parola, ogni dettaglio sono importanti e ne sarete avidi. Leggerlo è stato un terremoto emotivo, ed è molto complicato cercare di rendere nero su bianco quello che mi ha trasmesso e soprattutto quello che mi ha lasciato. E non sto esagerando: chi ama leggere sa di cosa parlo.

La storia, come dicevo prima, la conoscono più o meno tutti: Edmond Dantes è un giovane marinaio che sta per essere promosso capitano di una nave mercantile, è innamorato della bella Mercedes che sposerà di lì a qualche giorno ed è un figlio premuroso e devoto. Ma il destino, che fino ad un attimo prima pareva così carico di promesse, si abbatterà su di lui impietosamente. Viene arrestato con l’infamante accusa di bonapartismo proprio il giorno del suo fidanzamento, davanti a suo padre e alla donna che ama. Condotto il giorno stesso di fronte al procuratore del Re, non riuscirà a districarsi dal complotto ordito alle sue spalle, anzi: al brutto scherzo giocato dai suoi nemici, si aggiungerà anche l’opportunismo e la brama di potere di colui che dovrebbe garantire l’applicazione della Legge e della Giustizia . Nonostante le finte rassicurazioni del Procuratore del Re, viene condotto nottetempo nelle prigioni del Castello d’If, al largo della costa marsigliese. In questo luogo terribile trascorrerà quattordici anni, quattordici anni senza sapere perché e per colpa di chi è stato privato così a lungo della sua vita onesta, dimenticato dalla giustizia di Dio e degli uomini. Proprio quando ormai, stremato dalla solitudine e dalla disperazione, tenta il suicidio lasciandosi morire di fame, un barlume di speranza si riaccende in lui. Un rumore, dapprima impercettibile, poi sempre più insistente, arriva fino alla sua cella. E poi una voce, che dopo un tempo infinito rompe quel silenzio immobile. E’ l’Abate Faria, incarcerato anche lui da molteplici anni e creduto pazzo: incontro che cambierà per sempre la vita di Edmond. (Se volete approfondire la sua incredibile storia, leggete questo mio vecchio post )Le pagine in cui Edmond e Faria stringono amicizia sono tra le più belle del romanzo, quelle in cui a mio avviso emerge tutta la straordinaria bravura di Dumas. La descrizione di come la vita in cella diventa improvvisamente un momento felice di conoscenza e di affetto, di studio, di insegnamenti preziosi, è avvincente come un moderno tv movie. L’Abate Faria infatti è un uomo dotato di un ingegno fuori dal comune e di una immensa cultura, da cui Edmond apprenderà moltissimo. Ma soprattutto, ormai legati indissolubilmente come padre e figlio, pianificheranno insieme la fuga dal Castello. Grazie alla sagacità di Faria, Edmond riuscirà a vedere sempre più chiaramente cosa si cela dietro il suo arresto, e comincerà così a tessere le trame di una vendetta che si abbatterà implacabile sui suoi nemici.
 
Quello che più mi ha colpito, a parte l’intrigo della trama e la costruzione lenta, metodica e geniale della vendetta, è stata la trasformazione psicologica del protagonista. Quando viene condotto nelle segrete del Castello D’ If Edmond è solo un ragazzo semplice che crede nella vita e negli uomini, con l’ingenuità tipica dei vent’anni. Quattordici anni di prigionia, per mano di esseri meschini e vigliacchi che invidiavano il suo piccolo mondo felice, cambieranno per sempre il suo animo puro. Quando finalmente si ritroverà libero ed infinitamente ricco, quel ragazzo morirà definitivamente. Il corpo invecchiato dalla prigionia è l’unica cosa che rimarrà intatta di Edmond Dantes, oltre ad una indicibile sofferenza che solo lo sguardo, a volte, tradirà.
Il corpo di Edmond sarà la dimora del Conte di Montecristo, un uomo totalmente diverso: ricco, colto, affascinante, enigmatico. Con i suoi modi raffinati, il linguaggio ricercato e uno straordinario carisma riuscirà ad insinuarsi nell’ alta società parigina, soggiogando con la sua aurea di mistero tutti coloro che un tempo l’avevano tradito e ricoperto d’infamia. Abile calcolatore, muove le sue ignare pedine verso il compimento di una vendetta che sente di dover infliggere a questi uomini come se non fossero solamente suoi nemici, ma come se punisse per mano di Dio un esempio di umanità empia e codarda. In preda ad un delirio di onnipotenza, più volte si sentirà un tramite della giustizia Divina, un emissario della Divina Provvidenza che lo ha salvato dalla morte affinché portasse a termine la sua volontà suprema, quella di premiare i giusti e condannare gli infami. E’ con queste deliranti convinzioni che la sua vendetta si alimenterà di orrore in orrore, fino a quando Il Conte capirà che nemmeno lui, così duramente colpito dalla vita, può arrogarsi il diritto di distruggere senza alcuna pietà quelle altrui. Ricorderà di essere ancora Edmond Dantes grazie a colei che un tempo amava profondamente, Mercedes. Solo lei, con il suo esempio di sconfinato amore materno, riuscirà ad aprire una breccia nell’ impenetrabile corazza del Conte. Poco alla volta, e non senza tormento, nel suo animo troverà posto il perdono e arriverà finalmente a conoscere la pace ed una nuova, insperata felicità.
 
Solo colui che ha conosciuto l’estrema sventura è in grado di provare l’estrema felicità. Bisogna aver desiderato morire per sapere quanto sia bello vivere.
 
Un elemento di grande attrattiva è anche l’ambientazione, un vero e proprio viaggio nel tempo: la società ottocentesca dell’ultimo Impero di Bonaparte e della successiva Restaurazione, di cui Parigi costituiva il fulcro vitale, scorre davanti a noi lettori come un film e ci regala bellissime immagini: scorci della vita marinara di Marsiglia, il Carnevale di Roma, i banditi che infestavano le campagne dell’Italia, le serate nei teatri parigini, le passeggiate in carrozza nei grandi boulevards della Ville Lumiere, i duelli con cui si dovevano risolvere le questioni tra galantuomini, e poi ancora amori clandestini, figli nati dal peccato, “dark lady” esperte in micidiali veleni….
Insomma, buttatevi in quest’avventura. Ne uscirete prima di quanto pensiate, immensamente soddisfatti.

 

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13 pensieri su “Storia di una vendetta: “Il conte di Montecristo”, di Alexander Dumas

  1. Pingback: Storia di una vendetta: Il conte di Montecristo — La stanza dei libri | l'eta' della innocenza

  2. Wow…😍…bellissima recensione.
    Ho letto il Conte di Montecristo tantissimi anni fa, è un romanzo straordinario…qualche mese fa ho ricomprato il romanzo è sarà una delle mie prossime letture…la vendetta va servita fredda…Complimenti 👏

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  3. Cara Paola è bello poter rileggere le tue precise e attente recensioni! Questo libro in special modo mi è molto caro.Ha accompagnato la mia adolescenza facendomi sognare ad occhi aperti. Ora che sono grande e matura, lo rileggerò grazie alle tue parole.

    Un abbraccio carissima, ciao!!!! ❤

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  4. Ciao Paola, ho letto solo la parte iniziale della tua recensione per non farmi condizionare troppo, visto che lo sto leggendo proprio in questi giorni il romanzone, durante le ore serali… Infatti è così avvincente che mi tiene sveglia fino a tardi (= sono arrivata al capitolo dove Dantès viene interrogato dal sostituto procuratore del re, e già immagino, visto il complotto ordito alle sue spalle, che le cose si metteranno maluccio per lui, nonostante la sua innocenza…) Non conosco la storia se non per sentito dire, e non ho neppure visto il film. Quindi me lo sto gustando con particolare trasporto, pagina dopo pagina… Appena l’ho finito torno qui a rileggerti, ma il like subito sulla fiducia! ;-).

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  5. Cara Paola C, una bellissima recensione molto ispirata!

    Io leggo tanto e siccome mi ostino a leggere in lingua spesso mi areno.
    Il Conte di Montecristo è meraviglioso ma 1200 pagine in francese non ce l’ho fatta. Però ne ho letto più della metà. Mi ha colpito il linguaggio immaginifico e, come dici tu, la ricchezza stupenda delle ambientazioni, a Parigi, nel sud della Francia, a Roma ecc. Quanto ci avrà messo Dumas a scrivere una roba del genere?

    Mi ha anche colpito un tratto del personaggio che, a seguito della sofferenza, diventa praticamente un superuomo. Io credo sia questo il segreto della grande (e gagliarda) umanità: la capacità di saper soffrire e di non mollare, mai.

    Passando solo apparentemente di pala in frasca, mi colpì sempre il giudizio critico del musicologo Massimo Mila, che su J.S. Bach (una mia mania) scrisse più o meno (in Breve storia della musica):

    in questa sua capacità di saper soffrire (= enorme, sterminato studio e applicazione), in questa calcolata armonia che appare spontanea come un dono divino, in questa trasparenza immateriale, in quel gioco di esatti meccanismi e di ingranaggi ispirati, una sola realtà umana domina inconfondibile e immensa, quella perfetta summa humanitatis che ha nome Bach.

    Beh, per me il Conte, nel romanzo, giganteggia così.
    Un saluto da Giovanni

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  6. Ciao Giovanni, grazie per il tuo commento! Quando parlo de “Il Conte di Montecristo” ho sempre l’impressione di dire qualcosa di riduttivo, o comunque di utilizzare aggettivi che non riescono a contenere la grandiosità di un romanzo come questo. Hai ragione, anche per me la grandiosità del Conte sta in questo: aver saputo trasformare la sua atroce sofferenza in un qualcosa di grandioso.

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    1. Beh, spero questo non venga interpretato come ‘il momento del narcisismo’. E’ che sto scrivendo una serie di romanzi, tre per la verità (una trilogia), che si ispirano proprio a Dumas e al suo Conte di Montecristo (modello inarrivabile) almeno per la presenza di un personaggio deus ex machina, anche se il protagonista è un altro. Ne sto pubblicando brani sul mio blog. Poi si vedrà.
      Buona giornata e settimana, Paola (e bellissimo blog!)
      Giovanni

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