“Il club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey”, a dispetto del titolo curiosamente buffo, è un romanzo profondo e commovente che ho avuto la fortuna di leggere grazie al mio club del libro, con il quale affrontiamo letture mensili scambiandoci impressioni, sorrisi e tazze di tè.
Questo è uno di quei romanzi che, una volta terminati, ti fanno venire voglia di preparare i bagagli e di partire immediatamente verso i luoghi narrati. In direzione della minuscola Isola di Guernsey, in questo caso. Prima di leggere il libro (e di aver visto il film, di cui però ho vaghissimi ricordi) non sapevo nemmeno cosa fosse e dove fosse Guernsey, figurarsi poi se ero al corrente della sua incredibile storia. Google alla mano, leggo che “il Baliato di Guernsey è uno stato autonomo di fronte alla costa della Normandia ma dipendenza della corona britannica, dove si parla inglese, il guernese (variante del normanno francese) e altre lingue delle isole del canale”. Queste informazioni mi sono state di aiuto per contestualizzare la storia narrata, a cui l’autrice ha voluto dare voce dopo essere soggiornata a Guernsey nel 1980. Mary Ann Shaffern, libraia, bibliotecaria ed editor, parlando con gli abitanti del posto decide di compiere alcune ricerche più approfondite sulle vicende storiche dell’isola durante l’occupazione nazista, rimanendone affascinata al punto da voler scrivere un libro a riguardo, basandosi sui racconti degli isolani. La sua protagonista Juliet rappresenta quindi una specie di alter ego, alla quale viene affidato il compito di riconsegnare alla memoria collettiva un pezzo di storia europea completamente dimenticata: quella dell’unico lembo di terra che Hitler riuscì a strappare alla Corona Inglese, con l’intento di trasformarlo in un avamposto militare per il controllo della Manica. Siamo nel 1946 e l’isola risente ancora dei pesanti strascichi dell’occupazione nazista. Juliet Ashton, giovane ed intraprendente giornalista londinese alla ricerca dell’ispirazione giusta per confezionare il suo nuovo romanzo, comincia per una mera casualità del destino una fitta corrispondenza con alcuni abitanti dell’isola. Spinta dalla curiosità di conoscere di persona i suoi amici di penna e desiderosa di lavorare alla sua nuova idea, deciderà di raggiungere Guernsey lei stessa, con disappunto del fidanzato e il benestare del suo editore. La vita sull’isola in pochi giorni la cattura e l’avvolge con la piacevolezza di una coperta calda, restituendole col suo tepore un’essenza vitale che pareva perduta per sempre tra le macerie di Londra. La vita di Juliet è apparentemente perfetta: è una ragazza carina e solare, con una vita piena e soddisfacente, un lavoro interessante che le ha conferito una certa popolarità ed un corteggiatore che pare sbucato fuori da un libro delle fiabe, desideroso di impalmarla al più presto. Eppure, dopo le prime missive scambiate col timido Darwsey, sente un irresistibile richiamo che la allontana lettera dopo lettera dalla sua vita londinese con le sue promesse di rinascita. Gli esseri umani hanno un sesto senso che difficilmente sbaglia: chi impara ad ascoltarlo saprà cogliere la sua vera vocazione laddove non l’avrebbe mai cercata.Questo è uno di quei romanzi che, una volta terminati, ti fanno venire voglia di preparare i bagagli e di partire immediatamente verso i luoghi narrati. In direzione della minuscola Isola di Guernsey, in questo caso. Prima di leggere il libro (e di aver visto il film, di cui però ho vaghissimi ricordi) non sapevo nemmeno cosa fosse e dove fosse Guernsey, figurarsi poi se ero al corrente della sua incredibile storia. Google alla mano, leggo che “il Baliato di Guernsey è uno stato autonomo di fronte alla costa della Normandia ma dipendenza della corona britannica, dove si parla inglese, il guernese (variante del normanno francese) e altre lingue delle isole del canale”. Questo mi è stato di aiuto per contestualizzare la storia narrata, a cui l’autrice ha voluto dare voce dopo essere soggiornata a Guernsey nel 1980. Mary Ann Shaffern, libraia, bibliotecaria ed editor, parlando con gli abitanti del posto decide di compiere alcune ricerche più approfondite sulle vicende storiche dell’isola durante l’occupazione nazista, rimanendone affascinata al punto da voler scrivere un libro a riguardo, basandosi sui racconti degli isolani. La sua protagonista Juliet rappresenta quindi una specie di alter ego, alla quale viene affidato il compito di riconsegnare alla memoria collettiva un pezzo di storia europea completamente dimenticata: quella dell’unico lembo di terra che Hitler riuscì a strappare alla Corona Inglese, con l’intento di trasformarlo in un avamposto militare per il controllo della Manica. Siamo nel 1946 e l’isola risente ancora dei pesanti strascichi dell’occupazione nazista. Juliet Ashton, giovane ed intraprendente giornalista londinese alla ricerca dell’ispirazione giusta per confezionare il suo nuovo romanzo, comincia per una mera casualità del destino una fitta corrispondenza con alcuni abitanti dell’isola. Spinta dalla curiosità di conoscere di persona i suoi amici di penna e desiderosa di lavorare alla sua nuova idea, deciderà di raggiungere Guernsey lei stessa, con disappunto del fidanzato e il benestare del suo editore. La vita sull’isola in pochi giorni la cattura e l’avvolge con la piacevolezza di una coperta calda, restituendole col suo tepore un’essenza vitale che pareva perduta per sempre tra le macerie di Londra. La vita di Juliet è apparentemente perfetta: è una ragazza carina e solare, con una vita piena e soddisfacente, un lavoro interessante che le ha conferito una certa popolarità ed un corteggiatore che pare sbucato fuori da un libro delle fiabe, desideroso di impalmarla al più presto. Eppure, dopo le prime missive scambiate col timido Darwsey, sente un irresistibile richiamo che la allontana lettera dopo lettera dalla sua vita londinese con le sue promesse di rinascita. Gli esseri umani hanno un sesto senso che difficilmente sbaglia: chi impara ad ascoltarlo saprà cogliere la sua vera vocazione laddove non l’avrebbe mai cercata.

E’ stata una lettura semplicemente perfetta, a cui la forma epistolare ha aggiunto quel “quid” in più, rendendola scorrevole e molto piacevole. Mary Ann Shaffer è morta prima di riuscire a terminare il romanzo, è per questo che in copertina figura un doppio nome tra gli autori: è stata infatti la nipote Annie Barrows a portare a termine il suo lavoro, mantenendo intatto il senso e lo stile della zia. A mio sindacabilissimo giudizio l’autrice è riuscita a coniugare con grande abilità lo spessore storico degli eventi narrati all’ironia e alla leggerezza liberatoria dei protagonisti che in prima persona raccontano le loro terribili esperienze, alcune non ancora concluse. E’ la voce di chi è riuscito con fatica a tenere testa a all’orrore, dando respiro a quella voglia di vivere che a dispetto di tutto è rimasta incollata addosso anche in mezzo alle tragedie, come una seconda pelle. Sono persone impaurite e mutilate nell’anima, eppure non c’è traccia di commiserazione in loro, tutt’altro. Nella disperazione di quei lunghi mesi riescono a trovare qualcosa di straordinario che li salva e li unisce: “Leggemmo di libri, parlammo di libri, discutemmo di libri, e diventammo sempre più vicini gli uni agli altri… e le nostre serate insieme divennero momenti vivaci e luminosi – potevamo quasi dimenticare, adesso e allora, l’oscurità all’esterno.” Sì, è stato proprio questo a tenerli vivi: un improbabile gruppo di lettura nato nel pieno dell’occupazione, tra coprifuoco e privazioni di ogni genere. Il senso di comunione degli isolani protagonisti, e la forza straordinaria che ne scaturisce, è come un balsamo che allevia il dolore, che cura le ferite più profonde, e che miracolosamente fa stare meglio anche noi mentre leggiamo. Perché il contorno sarà anche finzione a scopo narrativo, ma la storia non lo è affatto. La paura, la fame, le deportazioni, i lavori forzati, le bombe, le macerie, l’isolamento dal resto del mondo, l’assenza di notizie, i bambini allontanati nelle campagne inglesi, gli aiuti umanitari della Croce Rossa arrivati dalla neutrale Svizzera, quando ormai stavano tutti morendo di stenti nell’indifferenza del quartier generale britannico, con un Churchill più preoccupato di non far intercettare i viveri ai nemici che della sopravvivenza degli isolani. Questo è reale, lo sarà sempre e noi abbiamo il dovere di ricordare fino a che ne saremo capaci. Ho sorriso lo stesso numero di volte in cui mi sono commossa, in un perfetto equilibrio, ed ho desiderato che le pagine fossero almeno il doppio, perché non volevo lasciare Guernsey. Non la volevo lasciare non solo perché ho amato pazzamente tutti i personaggi, l’ambientazione storica e geografica, o perché mi ha aiutato a conoscere un pezzo di storia che colpevolmente ignoravo. Ho amato Guernsey soprattutto perché è portatrice di un messaggio importante che condivido pienamente, di cui anche tutti noi in fondo siamo un po’ testimoni: che i libri ci salvano sempre, ed i legami che essi creano sono qualcosa di indissolubile, un richiamo fortissimo alla vita che ci arricchisce e ci fa crescere continuamente.
P.S.
Dal romanzo è stato tratto anche un film, uscito per Netflix qualche anno fa. Delizioso, ma il libro ha decisamente una marcia in più!
